"E' tempo di affrettarsi"
Una conversazione con Magnus

Però, un bel vento...
Vento e tempesta quassù, come nell'inverno del '44. La linea gotica passava di qua, ma per poco: da questa parte i Tedeschi e di là, a poche centinaia di metri, gli Inglesi. Storie di guerra, di avventura.
Qui a Castei del Rio ci venivo spesso a rinfrancarmi. Sapete, quando si vuole staccare la spina.
Il posto lo conoscevo bene e mi piaceva. Così, un bel giorno, metto in valigia il Tex, la sceneggiatura, mi piazzo in albergo e mi dico "Resisterò a oltranza".
Ho resistito tanto bene che adesso ho preso la residenza qui. I figli sono grandi, vengono quando vogliono un po' di tranquillità.
E Tex mi tiene compagnia.

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Ma lo hai finito? 
Ho finito le matite. Rimangono le chine delle ultime 80/90 pagine. Io lo considero finito, anche se... ci sono stati dei momenti in cui ero come preso dalla piena del Po e non sapevo più da dove ero partito o dove volevo andare, nonostante la sceneggiatura fosse lì, tranquillizzante. E intanto montava. E poi gli interni, scene buie, difficili.
Come in un castello inglese, un po' gotiche, con tanto di "cantuccio della strega". E la cinese cattiva e altri ancora.
Giunti alla catarsi finale, i due eroi se ne partono, come se nulla fosse, e intanto io sono morto. Ma mi sono ritratto, in una squadra di boscaioli che salutano Tex nell'immagine finale, quando torna a valle.
Lui ci ha messo pochissimo, io tantissimo.

 

 

Davvero lo stress è finito, ora che rimane solo il ripasso a china?
Spero sia solo questione di braccia, e non più di testa. Quella, per un po', vorrei farla riposare. E fare lavorare l'occhio implacabile, che deciderà se in quel punto manca un trattino o se deve restare vuoto. E una questione mia, sono io che devo decidere. E se ci deve essere, ~ora torno indietro faccio il trattino e non se ne parla più.

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Il tuo "Texone" e una vera e propria avventura, visti i tempi e le energie che ti sta costando. Che cosa rappresenta per te?
Qualcosa di cui, oserei dire, ci si poteva anche rammaricare. Qualcosa in cui ci si imbarca come per il giro del mondo, quando può capitare di ritrovarsi bloccati dai mari in tempesta e il lavoro non può essere costante.

Ho cominciato quasi sette anni fa, ma a Tex ho lavorato molto meno, facendo anche altre cose. In un certo senso, sono stato costretto a fare altre cose. Impossibile restare su Tex a tempo pieno con tutto l'impegno che richiede. Ogni vignetta è e deve essere studiata appositamente, avere una sua storia e - alla fine - un suo valore.

A una recente mostra hanno esposto delle mie cose di Tex e volevano che consigliassi

loro come sceglierle. E io ho detto "scegliete quello che volete, sono tutte uguali", nel senso di quello che ci ho messo dentro.

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E ci hai messo molto, a quanto pare.

Ma non è poi così difficile. È solo lungo. Perché volevo risolvere la luce senza ricorrere al nero pieno ma a un certo tratteggio, alla Galeppini. E i volumi, modellarli secondo certe mie idee. Ecco, forse ho esagerato per eccesso. In fondo, per me era, è ancora un'occasione, ma i "veri" disegnatori di Tex sono altri. Sono gli eroi che lo portano in edicola tutti i mesi che Dio manda in terra, a colpi di 110 pagine per volta, qualcosa di assolutamente impensabile per me. Quelli sono i professionisti, quello è Tex.

Quando dici che hai sbagliato per eccesso, ti riferisci agli studi preliminari troppo lunghi, o forse a un tuo approccio "esitante" alla sceneggiatura di Claudio Nizzi?

Tex è un fumetto d'azione, un fumetto di figure molto complesso. Se il cocchiere dall'alto della diligenza tira fuori la carabina e spara, ecco, già siamo in una situazione complicata: la carrozza; i cavalli con le bardature, i finimenti e tutto il resto; uno o più passeggeri in parte visibili anche dall'esterno; uno o più conducenti, uno dei quali estrae una carabina (non uno schioppo qualunque) per fare fuoco in una direzione ben precisa; e poi l'arrivo della diligenza, nuvole di polvere sollevate in frenata, cani che abbaiano in mezzo alle ruote. E tutto ciò Galep l'ha disegnato, con slancio, istintivamente, in maniera esauriente. C'è chi ci riesce. Bisogna capire che Tex vive di tutto ciò. Allora ho cercato di metterci il più possibile, di rendere omaggio a Tex. E ci ho provato con gli sfondi, lavorando molto su quello che avviene dietro. Alcune volte ha funzionato; altre meno, perché invece di dare risalto ai personaggi li ha un po' messi nell'ombra. Ma nel complesso credo di essermela cavata, nel senso che a seconda dei casi, delle scene e del numero di pagine, il lettore va frenato o sollecitato.

E mi sembra di essere riuscito a farlo.

 

In tema di studi, ci sono quelli della casa, che è una specie di protagonista.

La storia che la riguarda è molto divertente. Doveva essere una vecchia missione spagnola abbandonata, in seguito ristrutturata e adattata a fortino. E quindi, per gentile concessione degli archivi Bonelli, mi sono tuffato in libri come Storia della California, Storia del Messico e così via. E a un certo punto salta fuori questa missione, di cui per motivi di funzionalità bisognava studiare la disposizione dei nuclei abitativi. Era anche necessario garantire una qualche coerenza nel tempo, a mano a mano che la storia si sviluppava in questo ambiente. Quì ho discusso parecchio con Nizzi, perché ogni volta che lui mi proponeva una certa scena io subito dovevo correre a calcolare tutto ciò che questa implicava.

E poi c'erano più piani, lungo i quali Tex si aggirava nelle sue perlustrazioni. In un certo senso, con questa fortezza ho "sfidato" Nizzi, che dopo essersela ritrovata sotto gli occhi ha detto: "Perbacco, ma è inespugnabile"; "Sì, ma se la guardi bene, ti accorgerai che un varco te l'ho lasciato"... e lui l'ha beccato in pieno.

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Un vero e proprio gioco tra te e lo sceneggiatore.

Sì, ma va detto che gli sceneggiatori di Bonelli sono estremamente precisi e quadrati, cosa a cui tengono pure moltissimo. Poi, il disegnatore può sgarrare un po'. Non capita spesso, ma io l'ho fatto.

La fortezza l'avevo studiata così e così, fatta in una certa maniera, e al momento dell'assalto finale Nizzi ha dovuto tenerne conto: essendo difesa da Tex Willer e Kit Carson andava assalita con estrema forza. E abilità. Ogni tanto mi diceva "Fai sporgere un po di più quel muro, altrimenti come faccio a prenderli?" e io lo allungavo. E poi gli attaccanti. A un certo punto ce ne sono in giro 23, ciascuno con la sua faccia e i suoi vestiti. Poi rimangono in nove.

 

Vuoi dire che li hai seguiti uno per uno lungo la sparatoria?

Sì, anche se loro si sono persi in assalti sbagliati. Ma il lettore non dovrà preoccuparsi di seguirli o riconoscerli. Non è importante. Se vuole, potrà farlo, scoprendo che quel certo figuro si è arrampicato da quella parte, e l'altro da quell'altra, ma non è necessario. È un lavoro che ho fatto io, per me. Alla fine è Nizzi che me l'ha espugnata, la fortezza. D'altra parte, contro Tex Willer e Kit Carson, come si fa?

 

C'è stato uno studio così elaborato per tutte le scene?

Per tutte quelle in cui mi sembrava necessario. Per esempio c'è quella fatidica - della cavalcata. In tutte le storie di Tex c'è una lunga cavalcata durante la quale non succede nulla, si parla un sacco e all'arrivo - perché intanto si va verso una destinazione importante - abbiamo scoperto un sacco di cose fondamentali. Ma nel West si cavalcava per ore e ore. Per giornate intere. Se si partiva al mattino, si arrivava al tramonto o addirittura a notte inoltrata. Quindi la luce doveva cambiare. Cambiare lungo le pagine della cavalcata, perché il tempo stava passando. Così ho cominciato a fare qualcuno dei miei esperimenti. Cosine, di quelle che se falliscono non è grave.

Hai cercato di recuperare lo spirito originale di Tex anche nella confezione materiale della storia, scegliendo di lavorare a strisce.

Sì, una pagina era troppo grande, tutta in una volta. Ne avrei sottovalutato qualche parte, cosa che con Tex non può accadere e non è mai accaduto, a onore della pubblicazione e di Bonelli. Certo, anch'io ogni tanto mi sono arreso e ho semplificato qualche vignetta, ma l'ho fatto deliberatamente. Una pagina intera non l'avrei retta. Dovevo procedere vignetta per vignetta, per poi comporre la pagina, in un certo senso automaticamente. Se i vari elementi erano stati pensati "bene", la pagina ne sarebbe uscita "bene".

Il problema sono le sequenze lunghe, che comportano situazioni con variazioni minime protratte nel tempo, come le cavalcate, i dialoghi, il sostare il pensarci su. E intanto siamo - per esempio - sempre vicino a un albero che non ha mica cambiato posto o rami. L'albero è sempre quello, con quei rami. Tex arriva nei pressi dell'albero, medita sul da farsi e quindi si allontana. E intanto io ho disegnato numero tre alberi. Che non possono essere fotocopiati, in quanto barbosi, ma che devono ruotare a seconda del punto di vista. Questo si può fare fino a un certo punto e con una certa fedeltà. Poi si impazzisce.

Quante sigarette in più ti ha fatto fumare Tex?

Interi pacchetti! In certi momenti è stata davvero dura. Una volta, qualche anno fa, entra un amico mentre stavo disegnando tanti "texini", così per allenarmi. Lui li vede e mi fa: "Ma quello non è Tex Willer?". "Meno male che l'hai riconosciuto." "Come mai disegni Tex?" "Perché me l'ha proposto Bonelli, il suo editore." "Allora realizzi il sogno della tua vita, disegnare fumetti." Capisci, per lui "Tex" vuoi dire "fumetto". Sono sinonimi.

Ma anche tu nutri un grande amore per il personaggio.

Enorme. E un grande rispetto. Ogni volta che posso, lo omaggio.

Quanto è durata complessivamente l'avventura di Tex?

La voce che avrei fatto Tex cominciò a circolare quando mi trovavo ancora invischiato nelle ultime pagine dei Briganti, che all'epoca appariva su Comic Art, e quando ancora dovevo finire Le Femmine Incantate, perché l'editore francese era alquanto arrabiato. Così prima di cominciare Tex,  mi sono dovuto imbarcare in un altro lavoro mentre cominciavano già a chiedere "E il Tex di Magnus quando esce? Il mese prossimo?"
E io: "Se va bene nel '93". Poi, varie circostanze, anche di vita, hanno ulteriormente rimandato la cosa.
E poi, per rispetto al personaggio, non ho voluto tartassarlo, affrettano. Ho fatto a modo mio, ho perso molto tempo, ho scelto una delle tecniche più lunghe e - comunque - per me è sempre stato un lavoro molto difficile. Tutto un groviglio di cose. L'importante era non "tirare via". Non l'ho fatto neppure in situazioni meno nobili, anche perché se il lavoro non viene svolto in un certo modo non dà nessuna soddisfazione. Inoltre, qui c'era di mezzo Tex. E con Tex non si scherza.

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C'è stato un momento in cui, nonostante il rispetto per il personaggio e per il lavoro, hai avuto la tentazione di mandare tutto a quel paese?

Ne sono tentato adesso... [risata] Ma non Posso, mi caccerebbero dalla valle.

Prego?

Se non finissi questo Tex dovrei cercarmi un'altra casa. Sono anni che mi fanno i complimenti per Tex, ma non hanno ancora visto niente. Fino a oggi li ho tenuti buoni con i disegnini, ma se non salta fuori il malloppone...

Già, il malloppone. Quando lo vedremo in edicola?

Ci vorranno ancora una decina di mesi. Otto, forse, se alcune circostanze andranno nella direzione giusta. Il grosso del lavoro è già fatto, come certe scene, o lo studio delle ombre, che mi sono costate tempo... tantissimo tempo. Ma andava fatto in quel modo, e ciò vuoi dire un bozzettone di massima che eventualmente andava poi ricalcato. E questo è già un problema, perché molti bei disegni o certe intuizioni nel ricalco si perdono. Ma occorre rassegnarsi, perché il tutto viene più proporzionato: se le figure si aggrovigliano le puoi separare meglio, e così via. Insomma, tutto un lavoro che ormai c'è e da lì non si scappa.

E poi hanno già inserito il lettering di Renata This, che è bravissima. Anche Decio Canzio [direttore generale della Sergio Bonelli Editore] ne lodava la leggibilità. La Tuis mette delle nuvolette che illuminano la scena.

Dei lampi di luce. E abilissima a giostrarsi con i disegni ancora a matita. A volte le scrivo "Ci stiamo?" e lei risponde "No!".

Punto esclamativo.

Ci pensa lei a metterti in riga...

Assolutamente.

La cornice in cui lavori avrà sicuramente infinito sui tuoi tempi.

Certo, Castel del Rio mi ha fatto perdere molto tempo, ma anche rilassare. Dovevo prendermi delle ferie. Ferie di vita. Ferie vere, di quelle durante cui si cambia. Questo ha occupato tempo e spazio: mi ritrovo quassù già da quattro nevi. Ed è tempo di affrettarsi.

L'anno prossimo, quindi?

Dipende da come andranno le cose in agosto. Se ad agosto il sole picchia, dovrò starmene blindato in camera, che è come una sauna. Un ventilatore mi salverà Per fortuna, qui la sera è come avere l'aria condizionata. Lungo la valle spira la brezza e l'altitudine ci salva. Di sera una giacchettina può servire. Quando a Castel del Rio la notte è calda, Dio protegga i bolognesi. Io che sono di Bologna, so bene cosa possono essere certe notti in centro. Da impazzire.
Comunque, Dio volendo (lui, non io) lo dovreste vedere nel 1996... sebbene la cosa dipenda ancora dalla mia costanza. Ma ce l'avrò. Vedere tutte queste pagine già chiuse, con i momenti più drammatici e difficili risolti... mi dà la carica.

 

In che modo hai lavorato alle scene più complesse?

Scenograficamente, un po' da teatrante. Un metodo che ho usato spesso, negli ultimi vent'anni. Tutto dipende dal numero dei piani di profondità. Facciamo l'esempio della battaglia finale. C'è una struttura architettonica su un primo foglio, poi i caduti e infine i combattenti superstiti: sovrapponendo questi tre lucidi ottengo la scena completa. Con una matita abbastanza tenera ripasso le figure principali, in modo che risultino più corpose, mentre con una più dura finisco gli edifici e i dettagli. Infimi, al tavolo

luminoso, riporto tutto su carta e se ancora dovesse essercene bisogno, do una passata di gomma pane, come Galep.

Bonvi mi dice sempre "Vanno già bene le matite". Sì, buonanotte...

E poi, naturalmente, un ringraziamento smisurato va a Giovanni Romanini che ha gentilmente fornito le cavalcature. A dire il vero, io l'ho ricattato... "O mi fai i cavalli o... o... ti sparo." Una vera e propria minaccia. Un'estorsione.

 

Ha lavorato direttamente sulle tavole o su fogli a parte che poi ricalcavi?

Sia l'una che l'altra cosa. Ma a un certo punto, era tutto così preciso già a matita, con gli stinchi e i garretti al posto giusto, che era praticamente impossibile ricalcano. Sbagliare uno zoccolo era roba da ridere e intanto il cavallo non stava più in piedi. Per cui ci siamo accordati perché i suoi cavaIli li facesse a matita, un po' in tutte le pose, su carta, con tanto di ombre accennando anche la postura del cavaliere. Poi io me li attacco sul foglio. Ora che ci penso, credo che mi farò vedere in Bonelli il giorno in cui arriveranno gli impianti, armato di lametta, pronto a sgarzinare tutti i filetti e le attaccature: mi metto al tavolo luminoso e le passo al vaglio una per una. Lo so dove sono. Non mi sfuggiranno.

È stato bravissimo, Giovanni. Senza di lui in quanto a cavalli avrei fatto davvero una brutta figura. Me ne ha chiesto ragione anche Bonelli: "Perché Romanini disegna bene i cavalli?". E io che ne so? Dote naturale. A me stanno antipatici. Molti invece sono dei veri e propri esperti nel disegno del cavallo, che è uno dei soggetti più difficili: ci vuole niente per alterarne le proporzioni. Con una mina di quelle sottili, una 0,3, a cui già non è più possibile fare la punta, rischi di giocarti lo sfondo con i cavalieri in campo lungo (per non parlare dei dettagli dei Winchester).

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Occorre grande abilità, specialmente nel passare da un dettaglio all'altro:

nel passaggio a china occorre una specie di cambio automatico nel polso, per usare con continuità il segno che serve di volta in volta. Io arrivo fino a un certo punto, poi mi sono armato di pennarello. Col pennello ci ho provato, ma se non si ha più la mano meglio lasciar stare: il tempo di tirare fuori la china e l'avevo già ribaltata. E poi la tazzona di vetro per lavare il pennello... troppa roba.

Meglio i pennarelli, che a volte mi sono pure mancati: non ne trovavo a punta dura, di quelli che io incido a modo mio per ottenere una testa con cui fare un segno sia grosso che sottile. Uso anche quei vecchi pennarelloni con la punta in materiale gommoso, che diventano grigi quasi subito.

Quale strumento usare dipenderà anche dal soggetto.

Naturalmente. Per esempio, tutte le chiome degli alberi richiedono un pennarello di un certo tipo, e così via, per categoria. Alcuni sono sensibilissimi all'umidità e andrebbero fissati. Altri hanno un'ottima punta ma tendono a diventare bluastri dopo poco tempo.

Altri ancora, a base d'alcol, sono tremendi: a volte mi è scappato di usarli per dei fondi e con l'umidità e il calore sono stati assorbiti terribilmente.

Hanno cominciato ad apparire degli aloni viola e rosa che non avevo mai visto: dopo lunghe ricerche ho concluso che è il modo in cui quell'inchiostro degrada nel tempo. È un problema di conservazione: impossibile esporre un disegno a pennarello, anche se fissato. Non è come la china. Scolorisce.

Per fortuna, quasi nessuno dei disegni che si fanno per i fumetti è da esporre. Su queste cose l'onta del tempo è spaventosa: ho visto degli originali di Salinas tutti gialli, massacrati dal nastro adesivo ormai secco.

I tuoi prossimi progetti continueranno a nascere a Castel del Rio? O prevedi ritorni nella "metropoli"?

Io amo svisceratamente Castel del Rio, che ritengo femmina. Un luogo femmina. Per la sua bellezza. Un luogo dolce, lussureggiante. Io la conosco in tutte le stagioni, col caldo e col freddo. E non desidero lasciarla, a meno che non nascano circostanze particolari.
Io non faccio mai progetti a lunghissimo termine. Due amici, praticamente miei coetanei, sono crollati per infarto nel giro di poco tempo, e - ahimè - questo li ha costretti a sospendere i loro progetti.
Cose del genere ti fanno mettere tutto in prospettiva.

Abbandoniamo per un attimo il mondo del fumetto. Come rappresenteresti - magari con un disegno - l'attuale situazione politica italiana, il nostro Parlamento?

Uno squadrone di ignoti. Una fiumana. Lo dico con tutto il rispetto per le cento professioni da cui provengono. Anche queste elezioni che sembrano prossime, incombenti, hanno visto nascere facce nuove mai viste. Comunque, alla politica va portato rispetto, soprattutto se non è di scontro violento, se non fischiano i colpi alle finestre. Perché non sarebbe la prima volta che, per terrorizzare, qualche assassino piazza le bombe. Questo sarebbe insopportabile. Mostruoso.

Quanto al resto, mi sembra una baraonda con poco senso, finché tutto annega nei debiti. Cosa possono fare finché non pagano quelli? Se a uno a cui devi dei milioni - molti milioni - ti presenti con ventimila lire quello cosa ti dice? Che ne mancano. E parecchi.

Ci vorranno cent'anni per pareggiare i conti, e dovremo vendere tutto. Venderemo San Pietro agli americani.

 

Quindi questa tua scelta, questo tuo "staccare la spina" e un modo per isolarti dal mondo, magari aiutato dal lavoro che è solitario, da tavolino.

Ma qui non siamo poi fuori dal mondo. Ho incontrato situazioni che non mi hanno certo dissociato dal mondo.

Vi faccio un esempio. Qui ciascuno - grazie al cielo - è proprietario di casa sua e quindi, in definitiva, sopravvive non male, anche perché da queste parti le attività agricole non sono mai ristagnate. In realtà non si sta male. Ma è il peso della rarefazione dei ruoli sociali che si fa sentire. Non parlo neppure di disoccupazione.

Parlo di energie che ristagnano, che non vengono rimesse in circolo. Di un motore che resta spento.

Ti senti al di fuori di tutto ciò o qualche volta il quotidiano bussa alla tua porta?

A volte scendo a Imola, da amici e vedo un po' di TV (che qui c'è solo nei bar, dove mi guai do bene dal seguirla). In un certo senso mi incanta. Una vera lanterna magica E poi cose incredibili

Senza entrare nei dettagli ricordo una discussione politica con personaggi di quelli importanti Poi qualcuno dice "Alt" e compaiono delle bottiglie d'olio, E una voce "Quest’olio e buonissimo, Adesso lo lecco". E lo lecca. E io dico: "Tu lecchi l’olio? Stai scherzando?". Non avrei mai immaginato che ci si potesse permettere tanto interrompendo un discorso come quel-10 dii prima. Il 1punto e che i olio fa un sacco di soldi. O io non ho capito niente, o qui stanno dando tutti i numeri.

In questo momento il mio problema è eminentemente politico: finire Tex.

Ma a Bonelli piace?

Ha detto gli ha fatto venire il sangue al naso. dalla rabbia e dall’angoscia. Ma lo capisco. Un editore è abituato a ritmi più serrati. Per lui la mia condotta è scandalosa, al di là di ogni possibile professionalità. Credo che pensi questo. Io me frego altamente, perché ne rispondo solo a Tex. Chi è Sergio Bonelli? lo non lo conosco. lo conosco solo Tex Willer. E il suo pard, il signor Kit Carson. E io Tex ormai lo finisco anche se Bonelli mi dicesse "No".
Perché un generale nominato da un principe può rifiutare degli ordini" (Sung Tzu, L’arte della Guerra).

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Bonelli sa benissimo che il tuo Tex è un caso editoriale ancor prima di arrivare in edicola...

lo ho abusato di questo "caso editoriale Tex". Se invece di Tex disegnassi il "Cavaliere Verde" la cosa noli interesserebbe a nessuno.

Il punto è che qui si incontrano due, miti: quello del personaggio e quello di Magnus.

È lui l'astro che illumina. E lui che fa girare la testa a tutti, anche se non leggono fumetti. Noi siamo troppo abituati a pensare agli autori, che si inventano le loro storielle di 46 pagine. Ma di fronte a un personaggio e a una saga che ha impegnato tanti autori del calibro dii Galep, Letteri, Nicolò, Ticci, Villa puoi solo metterti al servizio dell'Eroe. E anche se a volte qualcuno ha tirato via tutti hanno dato il loro meglio con Tex.
Troppi e troppo bravi
Io guardo solo Galep. Gli altri non li voglio neanche vedere, altrimenti mi si frigge il cervello. Il Tex che voglio è quello che balugina dalle copertine di Galep. Io miro li. A quel Tex che conoscono proprio tutti, anche quelli che non l'hanno mai comprato ma che l’hanno visto.
Così mi sono detto, volo basso. Vado sul sicuro.

La copertina sarà tua?

Ahimè mi toccherà. A tempera, su fondo bianco, secondo la linea della collana "Gigante" in cui comparirà la storia. La farò di stampo classico anni Cinquanta, tipo "La terribile cinese e i nostri eroi".

Se i cavalieri del cielo non fossero giunti a portarsi via Galep, giuro che gli avrei mandato una delle mie donnine ignude (di quelle fatte per benino) chiedendo in cambio un bozzetto a matita su carta a quadretti di come lui vedeva la copertina. Poi ci pensavo io.

Mi avrebbe dato tante cose che io potrò solo immaginarmi.

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Che cosa pensi della produzione a fumetti italiana?

Niente. Non ho il tempo di pensare. La produzione dei fumetti non dà il tempo di raccogliere le idee e di capire cosa c'è in giro di buono. Mi sembra che non sia un momento felice, se non per i possessori di formule, di brevetti fumettistici (come la Coca-Cola). Ma anche in questo caso l'espansione e l'evoluzione delle collane, che è l'atteggiamento più naturale da parte degli editori, vengono frenate dalla paura di perdere lettori.

Lo stesso Tex Willer è un personaggio che terrorizza la Bonelli. È qualcosa che deve rinnovarsi costantemente senza mai cambiare, e ogni minima nuova sfumatura viene vista come un pericolo.

L'altro giorno, in un negozio di fumetti, un ragazzo mi ha chiesto se disegnerei mai dei super-eroi, con tutti quei loro mantelli. Io per cortesia sono rimasto ad ascoltare, poi gli ho risposto che per me l'Eroe basta e avanza.

 

Che cosa pensi del fenomeno Dylan Dog?

Altro miracolo bonelliano. Tutti i meriti al buon Tiziano e ai vari realizzatori. I miei figli ne comprano due copie, una a testa, per non litigare. Più gli almanacchi.
Implacabili.

Perché ritieni che ai tuoi figli piaccia tanto?

Non ho mai avuto la pazienza di arrivarci. Credo di avere capito che ci sono diverse ragioni. Loro ne apprezzano l'umorismo, o piuttosto l'umorismo di Groucho. Ora, a me piace Wolinski e quindi la storia finisce qua. Per quanto possa essere un buongustaio e apprezzare tutti i piatti, alcuni sono al di là della mia portata. Loro invece, i miei figli, si compiacciono molto di ridere di quelle situazioni.

Faresti mai un Dylan Dog?

Mai.

Mai?

Mai. Per rispetto verso i suoi grandi disegnatori. E della sua gloria. Tex l'ho accettato perché per me è come La Fancìulla del West, o se preferite L'Uomo del West. E un melodramma che io posso fare all'italiana. Ed è anche una questione anagrafica: è il fumetto della mia vita, della mia epoca. Ed è sopravvissuto trionfante, prospero. E non miserrimo.

 

Archiviato il "Texone", che cos'hai in cantiere?

Diciamo che ho voglia di tornare alle mie gommosità. E con Comìx ho cominciato alcune Storie Strane. Per ora ne è uscita una sola, ma ho in pentola un'altra cosa che ha intrigato abbastanza Guido De Maria, il direttore della rivista.

Gli ridisegno - senza neanche tornare a guardarmela - la storia del "Sogno dello scroscio di pioggia" dal volume della Glittering Image del 1984. La reinvento a memoria, in sei paginone tutte per Comix, molto grafiche, piene di testo. Praticamente disegnerò nei buchi che resteranno.

Nei ritagli di tempo, porterò avanti un progetto per la Granata Press di Luigi Bernardi. Si tratta del famoso Conte Notte, un lavoro che mi porto dietro da tanti anni e a cui tengo parecchio. È del tutto diverso da ogni lavoro fatto in precedenza e ogni tanto mi capita di mettervi mano. Un impegno da prendere col contagocce, comunque, un po' come Tex.

Tra l'altro, è di lontana origine cinematografica.

A proposito: i tuoi rapporti con il cinema?

Tempo fa ci fu un progetto che poi diventò Nosferatu a Venezia e di cui il Conte Notte è lontano parente, ma la cosa andò malissimo. Innanzitutto per un film occorrono più cervelli, uno da solo impazzisce e io non posso permettermi di perdere troppi neuroni. E poi sono modi diversi di lavorare. Il cinema è esigente, ci sono dei direttori di produzione con cui è solo possibile litigare. Al primo accenno di complicazione ti dicono "Guarda che questo non & mica Ben Hur" e ripartono a lavorare. Se poi dietro c'è talento e ci sono idee, tanto meglio, altrimenti... pedalare. Se stai fermo o non riesci a girare entro certi tempi, sono soldi che corrono. E per certi progetti dove le cifre sono miliardarie, beh, conviene assoldare sceneggiatori "usa e getta": avanti il prossimo, e via, fucilato. La macchina è implacabile e non si deve fermare. Morale della favola, hanno massacrato sette/otto persone e solo alla fine hanno trovato tutto il necessario per tirare fuori un copione alto così.

Scena uno, scena due, lei, lui, l'altro, il cane, il gatto, la zia...

E poi io sono abituato a pensare a tutto. I costumi, per esempio. Se io cercavo di indicare o schizzare i costumi, passava uno che mi faceva "Ma perché perdi tempo, che poi ci pensa il costumista?". Al che a me veniva da rispondere: "Lo dici a me che faccio il fumettista?".

Il cinema è un gioco leggero di molti. Se penso che ogni mattina, prima di cominciare le riprese, ci sono persone il cui compito è sapere (e lo sanno) che occorre un paio di scarpe bianche per la signora Cardinale (numero 37) e una borsetta in tono e che tutto deve essere pronto perché non c'è tempo e il produttore è lì che scalpita...

Il percorso dalla trama (che doveva essere il mio lavoro) alle scarpe e alla borsetta (che & il lavoro di un sacco di altre persone) & lunghissimo.

Comunque, sei riuscito a fare tesoro dell'esperienza dirottando il lavoro fatto all'epoca su un nuovo personaggio.

Sì, non l'ho perso. Il materiale preparato allora l'ho rielaborato e sostanzialmente quello che ne è venuto fuori è il Conte Notte. Per ora ne esistono cinque pagine... una cosa ridicola, ma da qualche parte bisogna cominciare. In Granata le hanno già viste e hanno dato l'OK.

Sono piaciute persino a Roberto Ghiddi [art director della Granata Press] e non è poco.

Useranno una tecnica completamente nuova: io disegnerò più o meno tradizionalmente (matita più china) su un fondo pantone colorato, di una certa densità, in modo che non ci sia bianco, che scompaia la carta. Solo bruma e buio. Poi, di pagina in pagina, sarà necessario cambiare leggermente la dominante, il pantone di sfondo, ed è qui che entra in scena il computer, che elaborerà una mia traccia monocromatica (ma non in bianco e nero) che verrà riprodotta in quadricromia.

Ci puoi parlare del personaggio?

E un redivivo. Che sconta una condanna eterna. Un sepolto vivo un vampiro che torna alla luce, anche se di luce ce n'è poca. Solo alla fine ci sarà un'alba... particolare.

Ma tutto il racconto inizia di notte, proseguendo nell'ombra di uffici e di carnevali notturni.

Dicevi che il computer giocherà un ruolo importante...

Sì, certo. Anche il lettering sarà al computer. A questo proposito, ricordo di avere ricevuto un premio dall'ANAFI come migliore copertinista, per le copertine di Granata. Ma lo sfolgorio di quelle copertine è tutto merito di Ghiddi, dei suoi incredibili pennarelli e dell'uso appassionato che fa della

grafica computerizzata, in combutta con l'ottimo fotolitista Paolo Saetti, altro appassionato.

Questa del computer è una grande cosa. Tutto quello che una volta era considerata una raffinatezza grafica, i filetti, gli ornamenti, oggi è facile e veloce. Organizzi tutto su schermo, se non piace cambi. Se piace, tutto su dischetto e via. E per me lì il mistero comincia e finisce.

Il mistero?

I disegni su un dischetto. Roba da fare paura. Mah. Ma nelle realizzazioni, si apprezza davvero tutta questa tecnologia, indubbiamente superiore a quella tradizionale, che è costretta a fotografare qualcosa di materiale, di già esistente. Per poi riprodurlo. E lì si che erano cancheri amari. Ora 110. Si sono impossessati della macchina e la comandano, e se vogliono possono darle informazioni erronee, per i loro scopi.

Così, un grigio cambia e, docile, diventa un'altra cosa. Non c'è aerografo che tenga. Non c'è pittore che possa giocare in quel modo con la luce. Ormai, non si fanno altro che semilavorati, che poi vengono integrati.

Quando lo vedremo?

Dovrà aspettare Tex. Bernardi è rassegnato. Lui spera per il 2000

In questi anni il tuo rapporto con Bernardi e la Granata Press è stato particolarmente importante.

Bernardi mi ha aiutato moltissimo. Per amicizia, voglio dire. Ha ripubblicato cose mie in edizioni pregevolissime. E io gli sono particolarmente grato.

Quale domanda non ti abbiamo fatto?

Perché l'ho fatto.

Già, perché?

Perché era una buona bandiera sotto cui cadere. E dovendo cadere, tanto valeva cadere ad Alamo.